Giochi… a tavola 18: Tales of Evil/Pizza

Eccoci tornati su Giochetti e Sfizietti, cari lettori e care lettrici! Come molti di voi già sanno, da diverso tempo collaboriamo con Houseofgames.it, gestendo una singolare rubrica, che unisce la passione dei giochi da tavolo a quella culinaria! Quindi, se volete leggere il nuovo appuntamento di “Giochi a Tavola”, potete trovarlo qui su Houseofgames.it. oppure cliccando direttamente qui.

Oggi abbiamo un titolo spaventoso (ed una ricetta golosa)!

Se questo articolo vi è piaciuto, potete rileggere i precedenti articoli di questa rubrica, nonché seguire sia la pagina Facebook e il profilo Instagram di Giochetti e Sfizietti. Noi, come sempre, ci rivediamo tra due settimane, con un altro appuntamento su Giochetti e Sfizietti. “Bon jueu e bon appetit!”

Critica della Ragion Ludica 6: Giochi da… tablet?

Detti anche giochi da tavola, al giorno d’oggi sono i giochi in scatola prodotti industrialmente che si praticano appunto su un tavolo, che si tratti di giochi con tavoliere, di carte speciali o altro ancora, come lo Shangai o Jenga (p.1057)

Questa è ciò che troveremmo – nel “Dizionario dei giochi” di Angiolino/Sidoti – se fossimo alla ricerca della definizione di “Giochi da tavolo” (o “da tavola”): ovvero quella categoria di giochi che – a differenza dei giochi tradizionali come campana o  biglie che richiedono un’ampio spazio all’aperto – hanno bisogno di un supporto con determinate caratteristiche (come avere una buona base d’appoggio), su cui poter disporre i materiali e poter avviare una partita.

Tuttavia, l’arrivo del computer e l’uso più frequente di Internet hanno rivoluzionato non poco il mondo dei giochi da tavolo: basti pensare ad applicazioni o programmi che permettono di giocare ai propri titoli preferiti senza avere la copia fisica in possesso, oppure a come ultimamente le piattaforme digitali vengano sempre più sfruttate da parte dei game designer nelle proprie opere; ed infine alla diffusione di siti web – come Board game Arena – che offrono la possibilità di poter sfidare avversari da ogni parte del mondo, senza doverli invitare a casa propria!

Questo aspetto – che col tempo diventa sempre via via più prepotente – dovrebbe farci porre una domanda: ma tutto ciò, porta dei significativi vantaggi al mondo dei giochi da tavolo, oppure è invece dannoso e si corre il rischio di “estinzione”, come è accaduto in parte per la letteratura odierna?

Vorrei ragionare con voi con calma, prima parlando in generale del rapporto tra i giochi da tavolo e il mondo digitale; per poi andare più nello specifico, trattando anche qualche titolo in particolare, di cui il più delle volte ho potuto provare sia la versione fisica, che non.

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Patchwork: gioco da tavolo o applicazione?

Un po’ come nei libri, il principale motivo per cui si preferisce  una versione digitalizzata di un gioco da tavolo da quella cartacea è la “comodità”: ad un prezzo minore rispetto alla scatola, si può avere un’intera “libreria di giochi” a portata di mano e consultabile in qualsiasi momento della giornata. In fondo, basta un telefono o un tablet e si può iniziare una partita sempre e ovunque, che voi siate in montagna o ad una noiosa lezione all’università.

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La mia piccola libreria di giochi da tavolo nel mio cellulare…

Un altro aspetto altrettanto fondamentale è che – rispetto a quelle cartacee – le versioni digitalizzate sono più “veloci”: non c’è più bisogno di occuparsi il setup di gioco perchè sarà compito del gioco stesso, che avrà anche il dovere di gestire tutti gli automatismi  presenti (come la fase “Contaminazioni” in Pandemia), mentre il giocatore sarà libero di ragionare sulle proprie azioni da compiere. Tutto questo “risparmio” è utile quando si ha voglia di giocare, ma non si ha troppo tempo o non si ha “voglia di apparecchiare”: basta aprire il programma, selezionare “Nuova Partita” e il resto vien da sé…

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Come in Mysterium App: cliccando su “Gioca”, si dà inizio alla partita immediatamente!

Certo, la carta è sempre la carta: molti non abbandonano i libri cartacei perchè non vogliono abbandonare la sensazione di toccare la pagina, di poterla girare e di sentire quel caratteristico suono così piacevole. Allo stesso modo, la versione digitale ha poco di “digitale” e “sensoriale”: non è possibile afferrare con mano i propri segnalini e muoverli su uno specifico percorso, non è possibile mescolare compulsivamente la propria mano di carte, non è possibile spendere “personalmente” cubetti risorse per prenderne altrettante…Tutto si riduce ad un tap, o al massimo ad uno slide: un po’ troppo limitante, non trovate?

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Nulla può paragonare il tintinnio dei gettoni Gemma in Splendor…

A volte sia ha un apposito spazio ed una buona collezione di titoli, ma mancano i giocatori: chi deve lavorare ed il giorno dopo si deve alzare presto, chi invece deve badare alla propria progenie, chi abita dall’altra parte del mondo e – giustamente – non si fa chilometri e chilometri in macchina per una partita a un filler, unico gioco che si può fare, dato che bisogna trnare a casa subito. E’ utile, quindi, poter “sostituire” avversari in carne ed ossa con avversari artificiali, programmati dal gioco stesso, che permettono di superare questo spinoso ostacolo…

Certo, le CPU non sono proprio il massimo come sfidanti: a volte non sono proprio del tutto “intelligenti” (beh, questo vale anche per alcuni giocatori) ed è facile  batterli; altri invece possiedono l’arguzia di Sherlock Holmes e non li batti se non per una serie di “fortunati” eventi. Nel primo caso ci si annoia, nel secondo si diventa frustrati; ed alla fine si odia il gioco e lo si abbandona.

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Mr Jack Pocket App: l’AI di questo gioco è davvero difficile da battere…

Inoltre, confrontarsi con un computer o con una persona vera non hanno lo stesso peso: uno schermo non ti permette di guardare in faccia il tuo avversario, per capire se è tranquillo o se ha qualche timore; di analizzarlo per vedere se sta bluffando o se è sincero; di “cronometrare” quanto tempo ci mette a pensare e compiere la propria mossa. Senza questi elementi, molti giochi da tavolo sarebbero del tutto diversi: basti pensare a giochi come Lupus in Tabula e simili, in cui ogni singola parola o atteggiamento possono fare la differenza allo svolgimento della partita.

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Un gioco come Sheriff of Nottingham, basato sul bluff, non avrebbe senso di esistere in versione digitale

Sempre più spesso vengono prodotti giochi da tavolo a cui si affiancano l’utilizzo delle app: a volte necessari e a volte accessori, questi programmi aprono nuove possibilità nello sviluppo di meccaniche innovative, impensabili senza l’ausilio di  un’ intelligenza artificiale. Inoltre, le app possono migliorare o velocizzare alcuni aspetti “troppo meccanici” di un gioco (come gli automatismi o il calcolo dei danni); possono ridurre peso e dimensioni della scatola, sostituendo componenti troppo ingombranti, riducendo sensibilmente il costo; ed infine – in alcuni casi – permettono una resa migliore dell’ambientazione, grazie a una buona musica di sottofondo o a una voce narrante  che fa da introduzione alla partita in corso.

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Invece potrebbe essere utile un’app che sostituisce il Libro dei Racconti e il Libro delle Reazioni in Tales of Arabian Nights…

Generalmente, questi sono i vantaggi (e gli svantaggi) che si possono avvertire tra la versione digitalizzata e la versione fisica di un gioco da tavolo: ma adesso – come vi avevo già accennato, è arrivato il momento di parlare di qualche caso specifico, ovvero di giochi da tavolo che hanno potuto beneficiare dell’evoluzione digitale.

Pandemia

Il primo di questa lista sarà “Pandemia: Una Nuova Sfida”, il gioco di Matt Leacock (prodotto dalla Z-man games), dove i giocatori faranno parte di una equipe che tenterà di debellare quattro temibili malattie, prima che queste infettino il mondo. Collaborando tra di loro, i giocatori si sposteranno nel mondo per contenere la diffusione delle malattie e trovarne le rispettive cure, utilizzando e collezionando carte dello stesso colore. Con le espansioni il gioco può variare,  ma il succo è tutto questo…

Ho avuto per diverso tempo sia Pandemia, sia tutte le espansioni (compresa quella “In Laboratorio”): è un collaborativo ben fatto, piacevole e le regole sono basilari. Nonostante tutto questo, ho dovuto venderlo principalmente per mancanza di spazio (e perchè non riuscivo ad apparecchiarlo così spesso), ma il distacco non è stato così tranumatico: dopotutto avevo “Pandemia: la Cura” e avevo appena comprato l’App di Pandemia.

In questo caso, il gioco si occupa di sistemare il mazzo dei Giocatori durante la preparazione, di distribuire i cubi Malattia iniziali e delle fasi di Contaminazioni, dei Focolai e delle carte Pandemia. Insomma, elimina tutta la parte “noiosa” di Pandemia – ovvero mescolare e rimescolare e rimescolare – sacrificando la sensazione tattile che, dopotutto, non è così fondamentale. Solo un piccolo difetto: non è possibile vedere in modo chiaro tutta la plancia e tendo a perdermi qualche pezzo, ma la possibilità di fare una partita in solitaria (possibile solo con le espansioni, nella versione cartacea) controbilancia questo aspetto poco piacevole.

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Il gusto di Pandemia, senza tutta quella “preparazione”

Ticket to ride

Destino simile ha avuto “Ticket to ride”, il gioco di Alan R. Moon (prodotto dalla Days of Wonder) in cui si devono costruire una rete ferroviaria, cercando quindi di guadagnare più punti possibili. Durante il proprio turno si può pescare o si possono giocare una o più carte di un colore per poter creare un tratto di binari e collegando due città, fino a creare una ferrovia via via sempre più lunga e intricata. Le espansioni ripropongono le stesse meccaniche su mappe diverse (esempio America, Europa, Svizzera, Asia, etc…), con qualche elemento aggiuntivo per “rinfrescare” un po’ il gioco.

Ticket to ride è un titolo che ho adorato dalla prima partita, quando lo provai anni fa in un’associazione locale: ho voluto anche partecipare alla fase preliminari del torneo organizzato in occasione del 10° Anniversario del gioco, piazzandomi in una buona posizione (ma non l’ho superata, ahime). Ma non l’ho mai comprato: ci penso e ci ripenso, ma alla fine quel “2-5 giocatori” mi frena, perchè rimarrebbe sullo scaffale. E alla fine ci rinuncio, con un po’ di tristezza…

La versione PC di TTR (su Steam) è stata la mia salvezza: ho potuto fare tantissime partite, provando anche le diverse espansioni disponibili, anche se preferisco il fascino del base. L’aspetto grafico è uno dei migliori visto in giro (sempre per quanto riguarda questo tipo di giochi) e la musica di sottofondo – e qualche suono del mondo ferroviario – ti coinvolgono appieno nell’ambientazione di TTR. Anche qui è possibile giocare da soli contro la CPU, tutto sommato dei buoni avversari. In questo la mancanza del tatto è più evidente: piazzare da se i propri vagoncini – soprattutto se si è in possesso dell’edizione del 10° Anniversario – non lascia le stesse sensazioni di quando lo fa il PC; ma in questo modo posso gicoare a TTR, anche se non ce l’ho “tra le mani”.

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Screenshot di Ticket to Ride (versione PC), disponibile su Steam

Castels of Mad King Ludwig

Uno dei pochi casi in cui la copia cartacea è rimasta sul mio scaffale – nonostante la versione digitale – è il gioco di Ted Alspach, “Castels of Mad King Ludwig”, edito dalla Bezier Games. Ispiratosi ad un fatto storico, nel gioco bisogna costruire il castello più maestoso, allo scopo di totalizzare il miglior punteggio. Ad ogni turno verranno vendute le stanze del castello (diverse per forma e tipologia), che dovranno essere compatibili con ciò che si è già costruito. Al momento esiste una sola espansione (“Secrets”), mentre uscirà un gioco simile “The Palace of King Mad Ludwig”, con qualche nuova meccanica.

Il passo tra Castels in scatola e Castels in tablet è stato breve: adoro il gioco e qualche tempo fa ho saputo che c’era uno sconto per la sua app e non ho potuto resistere. Questa versione non ha nulla da invidiare in fatto di grafica: le stanze sono chiare e ben definite e ricalcano lo stile del gioco. Come accade di solito, il programma si occupa della fase di Preparazione e di tutti gli automatismi – come la pesca di nuove tessere Stanza e la distribuzione delle monete sulle stanze non comprate – ed è sempre piacevole. Inoltre, in Castels App è possibile giocare alla modalità Campagna (oltre a quella Gioco Libero), in cui il giocatore dovrà superare delle sfide, che richiedono il completamento di determinati obiettivi.

Però in questo caso, perferisco il gioco in scatola rispetto alla sua versione digitale: oserei dire che il gioco è “troppo veloce” – forse perchè sono abituato a giocarlo con molta calma e ragionandoci parecchio – quindi a tratti resto confuso e non riesco a capire “come” ho fatto a vincere (o perdere) una partita. Ma la cosa che non mi va giù è il fatto che non è possibile guardare il proprio castello e quello degli altri contemporaneamente: in questo modo, si corre più il rischio di concedere ottime stanze ai propri avversari, facendogli guadagnare una valanga di punti.

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I due “Castels of Mad King Ludwig, entrambi validi per ragioni diverse

Le Case della follia: Seconda edizione

Tra i titoli in cui l’utilizzo di un’apposita applicazione è fondamentale, non ci si può dimenticare de “Le Case della Follia: Seconda Edizione”, ad opera di Nikki Valens (autore anche di Eldritch Horror) e uscito grazie a Fantasy Flight Games e Asterion. In un mondo isspirato alle opere di lovecraft, i giocatori vestiranno i panni di investigatori che cercheranno di fermare il male, che assume le forme di cultisti, mostri della letteratura e creature extraplanari. In questa nuova veste, le Case della Follia hanno avuto un gran successo e sono già disponibili varie espansioni, come “Visione dell’Oblio”.

Rispetto alla prima edizione, nella seconda non c’è più la presenza del Custode – cioè di un giocatore-master che svolge la parte del cattivo – ma il tutto è gestito dall’applicazione: introduce e racconta ai giocatori l’avventura in corso, estrae casualmente l’equipaggiamento iniziale e suddivide le varie fasi di gioco, ricordando azioni da compiere o presenza di mostri. Non serve dire che ciò ha portato notevoli vantaggi…

Infatti, nella vecchia edizione, il gioco tendeva ad essere troppo macchinoso e lungo: con la nuova edizione il tutto viene reso automatico e più semplice, quindi velocizzando le fasi di turno. Finalmente, anche il Custode può giocare dalla parte degli investigatori, ampliando così la fascia dei giocatori a “1-5” (nella prima era da due a cinque giocatori); inoltre alcune componenti sono state eliminate, come il Manuale del Custode, alleggerendo così la scatola.

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Varie creature lovecraftiane aspettano solo che l’applicazione sia pornta…

La Serie One Night Ultimate

Non poteva mancare “One Night Ultimate Werewolf”, altro gioco di Ted Alspach (con Akihisa Okui), prodotto sempre dalla Bezier Games. Ve ne ho parlato e straparlato in diverse occasioni – quindi non aggiungo altro – ma è un ottimo esempio di come l’applicazione, anche se non necessaria, aiuta e “corregge” alcuni aspetti del gioco.

Uno dei pregi di ONUW – rispetto a giochi simili – è che la persona che rivestirà il ruolo di “master” (o “Annunciatore” in ONUW) può anche giocare, dato che il suo compito sarà solo chiamare i vari ruoli che, da soli, compieranno le azioni (mentre, ad esempio, in Lupus in Tabula, il master non gicoa e deve gestire tutte le fasi della partita). Tuttavia ho notato che non è semplice fare l’Annunciatore e il giocatore allo stesso tempo : oltre a chiamare i ruoli ed evitare di confondersi, l’Annunciatore potrebbe rivelare la sua identità se non sta attento alla proiezione della sua voce, dato che potrebbe avere un ruolo speciale ed essere costretto ad agire. Tutto ciò viene colmato dalla presenza dell’applicazione, che sostituisce appieno l’Annunciatore: basta impostare personaggi e timer, alzare il volume e giocare, senza lo stress dell’Annunciatore “umano”.

Tuttavia, c’è una grossa novità con l’arrivo del quarto titolo di questa serie, ovvero “One Night Ultimate Alien”, dove i cattivi saranno gli Alieni. Sbirciando tra il sito e la versione aggiornata dell’applicazione, si può scoprire che i nuovi personaggi (e le loro azioni) sono legate all’utilizzo dell’App, rendendola quindi necessaria: ad esempio gli Alieni – oltre a riconoscersi – devono compiere un’azione extra che viene decisa dall’applicazione; mentre l’Espositore (un personaggio buono) può rivelare una o più carte al centro (il numero è stabilito dall’applicazione). Grazie a questo aspetto – possibile solo con l’introduzione “fissa” dell’applicazione – il gioco ha acquisito una nuova luce: ogni partita sarà diversa e sarà difficile compiere le classiche strategie, stupendo ogni volta i giocatori.

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One Night Ultimate Alien, il quarto titolo della serie One Night, in cui l’app-master sarà fondamentale

In conclusione, il binomio cartaceo-digitale va valutato caso per caso: esistono giochi che ben si sposano con il mondo digitale, migliorando molti aspetti del gioco in scatola altri invece sono solo un buon ripiego, da sfruttare quando si ha poco tempo, voglia o spazio. Ma se tale tendenza dovesse prendere ancora più piede – preferendo quindi il tablet al tavolo – potremmo ancora parlare di “giochi da tavolo”? Ai posteri, l’ardua sentenza…

Prima di salutarci, volevo comunicarvi che, per ragioni personali, nei mesi di giugno e luglio sarò meno presente e potrò dedicare meno tempo a “Giochetti e Sfizietti”. Perciò, le uscite degli articoli avverranno una ogni due settimane (sempre di Mercoledì), anche per mantenere una certa qualità del blog. Da agosto in poi, si tornerà più carichi che mai, quindi non disperate ed aspettate pazienti. Vi saluto e ci rivediamo tra due settimane.

Critica della Ragion Ludica 4: Problemi di… spazio

Prima o poi – nella vita di ogni giocatore – arriva quel “momento”…

Quando veniamo a conoscenza di un nuovo titolo interessante, facciamo delle piccole ricerche, indaghiamo su quanto divertimento possa offrire, magari riusciamo anche a provarlo a casa di qualche amico, poi alla fine ci convinciamo e lo prendiamo. E se ciò accade diverse volte al mese (e per diversi anni), prima o poi capita l’inaspettato o forse siamo noi che facciamo i finti tonti e non vogliamo vedere la realtà dei fatti. Fatto sta che – prima o poi – arriva quel momento in cui il giocatore, dopo aver comprato l’ennesima espansione di Ticket to Ride, arriva a casa e davanti alla propria libreria fa “E adesso dove la metto?”

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Appunto…

Così inizia il calvario del “creare sempre più spazio”: adesso le scatole non possono essere messe alla rinfusa, ma devono avere una precisa collocazione geografica all’interno della propria libreria; le scatole delle espansioni vengono portate in soffitta e tutto il contenuto incastrato a forza nel gioco base; e se ciò non fosse sufficiente si compiono “migrazioni ludiche” in tutta la casa, nei posti più impensabili. Nei peggiori casi – quando neanche il tetris e l’effetto matrioska ci possono salvare – si è costretti a vendere a malincuore qualche buon titolo poco utilizzato; e tutto ciò “solo” per inserire quel maledetto filler tra uno Splendor un po’ pericolante, un Dominion incastrato con la forza e la scomodissima scatola di Carcassonne versione del 10° Anniversario (esatto, proprio quella a forma di meeple).

Tutti questi sacrifici li facciamo solo per avere quel gioco nella nostra collezione, per assaporare una nuova esperienza ludica e a volte anche per stuzzicare quell’amico che tanto avrebbe voluto quel titolo, ma che per problemi di spazio non può far suo. Perciò – “alla fine della fiera” – un giocatore attento riesce in qualche modo a cavarsela con lo spazio: ci litiga un po’, ma alla fine si trova un accordo e si stipula un trattato di pace… pace che spesso va a farsi friggere dopo che il giocatore ha aperto la scatola e ha defustellato tutto quanto.  “Non va bene… così non entrano…”  e da quel momento iniziano i veri dolori…

Solitamente, i divisori all’interno di un gioco dovrebbero aiutare il giocatore a gestire in modo chiaro ed efficiente tutti i componenti: non importa che sia una carta, una tessera o un segnalino, ogni elemento ha un suo spazio dove essere collocato e preso quando serve. Inoltre, un buon divisore deve essere abbastanza resistente (plastica o cartone) per resistere alle intemperie e alle innumerevoli partite (si spera!), magari anche con un grafica d’effetto che richiama l’ambientazione del gioco. Perciò, “dividere” le parti di un gioco è importante quanto il gioco stesso: non dare la giusta attenzione a questo aspetto può incidere sulla qualità del prodotto. Quindi, cari lettori, aguzzate gli occhi, perchè vi voglio raccontare il mio difficile rapporto con i divisori interni.

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Alcuni divisori interni… riuscite ad indovinare da quali giochi provengono?

Ammetto di essere un po’ maniacale sotto questo punto di vista, ma io raramente rimango soddisfatto su come viene organizzato lo spazio all’interno di un gioco: nella mia esperienza ludica, mi sono imbattuto in scatole troppo grandi e scatole troppo piccole, scatole con un complicato ed inutile sistema di suddivisione e scatole completamente “vuote; ho trovato anche scatole “ibride”, cioè con un piccolo divisorio solo per alcuni componenti e poi un po’ di spazio libero (magari da dedicare a plancia o tessere). E forse quest’ultime potrebbero essere le migliori e soddisfare maggiormente le esigenze di un giocatore, ma ogni tipologia ha i suoi pregi ed i suoi difetti.

Prendiamo ad esempio la scatola “vuota”: da una parte si ha il vantaggio di organizzare lo spazio a proprio piacimento, dividendo i componenti in ziplock oppure creando un divisorio personalizzato (magari con la tecnologia del taglio laser); ma nonostante ciò ci sarà comunque troppo spazio, quindi i materiali “balleranno” un po’ all’interno della scatola (con il rischio di rovinarsi) e si avrà comunque la sensazione di disordine. Cito – come esempio – quello di Patchwork, “l’amabile gioco per due” di Uwe Rosenberg: ho provato ad inserire le tessere in alcune zip-lock, ma non sono mai stato contento del risultato. Alla fine ho scelto di lasciare le tessere “allo stato brado” e mettere nelle ziplock solo bottoni e pedine, ma ogni volta rabbrividisco al rumore dei pezzi mentre infilo il gioco in borsa…

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Il “mio” disordine in Patchwork

Aggiungere un semplice divisorio in cartone (anche bianco) può fare davvero la differenza, quel tanto che basta per “illudere” al giocatore un certo senso d’ordine. Tuttavia, è allo stesso modo problematico se tale oggetto è stato progettato male oppure non molto resistente: per il giocatore è frustrante sistemare nuovamente carte e tessere, perchè il proprio divisorio si è schiacchiato durante il trasporto del gioco. Questo è ciò che mi è capita con un altro capolavoro di Rosenberg, Bohnanza (o Semenza in italiano): ogni volta che lo apro – non so perchè – lo trovo in condizioni pietose…

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Ogni tanto mi capita di aprire Semenza e trovare questo “spettacolo”…

Dopo queste attente riflessioni, uno può pensare che la soluzione migliore sia un divisorio in plastica: è rigida e resistente, non si muove all’interno della scatola e l’autore-editore ha la libertà di modellarlo come meglio crede, creando degli appositi spazi per i  componenti. Ma spesso chi crea un gioco in cui siano presenti delle carte ed organizza lo spazio, dimentica un fattore importante: molti giocatori – me compreso – hanno la tendenza di proteggere le proprie carte con delle bustine protettive, per evitare che si rovinino. E puntualmente – dopo che aver messo le bustine – le carte non rientrano più nella scatola: sia perchè la bustina protettiva crea spessore e raddoppia il volume di un mazzo di carte (per cui lo spazio non è più sufficiente); oppure quel maledetto millimetro aggiunto dalla bustina impedisce alla carta di entrare nell’apposito vano. Ed ogni volta mi viene sempre la stessa domanda: ma ci voleva così tanto aggiungere uno o due millietri alla scatola? Non mi pare così difficile…

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Le carte di Splendor – in teoria, avrebbero inserite in orizzontale, ma purtroppo non entrano…

Solitamente questa “seccatura” si risolve tornando a giocare a Tetris: sposta quello, metti quest’altro, togli i gettoni ed avvicinali di più, tutto questo solo per far entrare quelle dieci carte che altrimenti non avrebbero posto nella scatola. Vi potrei fare un elenco infinito di titoli in cui ho dovuto compiere queste operazioni “delicatissime”, ma vi cito solamente il divertentissimo Sushi Dice (di Henri Kermarrec): l’unico modo per inserire le carte (imbustate) nella scatola è di sollevare il divisorio e cercare di incastrarle nello spazio vuoto dietro i dadi e richiuderlo con attenzione, altrimenti la scatola non si chiude. E lo devo fare ogni volta che metto in tavola questo titolo…

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Chissà dove saranno le carte Portata di Sushi Dice?

Almeno cimentarsi in questi “grattacapi”, spinge il giocatore ad usare la testa e a trovare soluzioni davvero ingegnose: solo grazie a questo, ad un ragazzo viene in mente di utilizzare alcuni fogli per raccoglitore di carte Magic per suddividere le carte Status in Tales of the Arabian Nights (non ricordo come ti chiami, ma non ti ringrazierò mai abbastanza); oppure quando venni colto io da un lampo di genio di fronte a San Pietroburgo (di Michael Tummelhofer) e notai che “mettendo al contrario” il divisorio, era possibile collocare le carte in modo “artistico”, anche se efficiente.

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Et voila, la “magia” è stata fatta!

Ma quando anche l’intuito ci abbandona, restano due opzioni “estreme”: togliere tutti i divisori e lasciare la scatola completamente vuota (con i suoi pregi e difetti) oppure rinunciare – a malincuore – a mettere le bustine alle carte e fare più attenzione quando bisognerà mischiarle. In queste due “categorie” ricadono Stay Away della coppia Ferrara-Fiorillo e Safranito di Marco Teubner: il primo ho dovuto lasciare la scatola vuota (ed ogni volta le carte mi si mescolano da sole), il secondo ho dovuto rinunciare le bustine e quando lo metto in tavola, impongo il digiuno forzato a me ed ai miei giocatori.

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I miei due “casi estremi”

Un’altra buona soluzione è quella di crearsi da soli i divisori o – addirittura – la scatola del gioco; in modo che il giocatore potrà essere finalmente soddisfatto nella disposizione dei vari componenti. Per tutta la serie One Night Ultimate Werewolf – ad esempio – ho commissionato ad un ragazzo (che ringrazio calorosamente) una scatola fatta interamente in legno (e taglio laser): adesso ho il privilegio di portare ben tre giochi contemporaneamente in un’unica soluzione, oltre che a poter gestire efficientemente tutti i gettoni e le carte. Così le scatoline di ONUW, ONUD e ONUV si riposano beatamente all’interno del mio armadio.

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Queste sono vere “soddisfazioni”…

Altro tentativo è stato prendere il divisorio per miniature e componenti disponibile per la seconda edizione di Case della Follia, anche se devo ammettere – ahime – di non essere rimasto molto soddisfatto: certo, adesso le miniature dei mostri hanno un loro posto e sono protette dagli urti, ma a discapito di altri componenti che ho dovuto incastrare a forza per evitare rigonfiamente. Senza contare che la scatola ora non si richiude (rimangono 2 centimentri scoperti) e che le tessere Luogo le ho messe in una scatola a parte.

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Le Case della Follia con il divisorio e i suoi 2 cm “scoperti”

Per fortuna, esistono casi di giochi da tavolo in cui la suddivisione degli spazi è ben pensata, che lascia il giusto spazio per le carte (imbustate)  e che dona una certa elenganza al titolo. In questo senso, sono rimasto colpito da Dixit Odissey (di Jean-Louis Roubira): nonostante sia in plastica, il divisorio è molto comodo e permette non solo la suddivisione dei vari componenti, ma aggiunge tre slot per inserire comodamente le carte (anche imbustate).

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Dixit Odissey oltre ad essere un capolavoro come gioco, ha anche un ottimo supporto interno

Ma non è necessario una struttura in plastica per essere “perfetta”, anche del cartone può fare la differenza: in My Brother – gioco di Irene Nappi – il divisorio è semplice ma funzionale e sembra fatto apposta per contenere le carte già inbustate, senza contare che poggiare le plance al di sopra delle carte impedisce che scappino.

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La dimostrazione che non serve plastica e disegni per avere la scatola in “ordine”

Avviandoci alla conclusione, vorrei fare un appello ad autori e agli editori dei prossimi giochi che usciranno: capisco che alcune scelte logistiche vengano prese per non incidere troppo sul prezzo di un gioco, ma mettetevi anche nei “nostri” panni, ovvero  di quei giocatori che vogliono ogni cosa al loro posto;  quelli che hanno cura dei propri titoli come se fossero deifigli e perciò non vogliono che il proprio “figliolo” si faccia del male oppure “perda” dei pezzi per strada. E adesso mi rivolgo a voi, miei cari giocatori “maniacali”, è capitato anche a voi di “litigare” con scatole e divisori? Con questo, io vi saluto e “state attenti ai vostri figl… ehm… giochi!”.