Critica della Ragion Ludica 7: Giochi complessi e giochi complicati: ma non sono la stessa cosa?

Qualche anno fa, sulla Tana dei Goblin, sono usciti tre articoli che trattavano di alcune terminologie in relazione al mondo ludico, come la distinzione tra “Strategia” e “Tattica” e la definizione di “Eleganza” in un gioco da tavolo. Tuttavia fra i tre articoli quello che più mi aveva sconvolto (e che mi ha spinto maggiormente a riflettere) trattava della relazione/distinzione tra “giochi complicati” e “giochi complessi”. E – leggendo il titolo di quell’editoriale – ancora ricordo la prima domanda che mi ero posto: aspetta, ma complicato e complesso non sono sinonimi?

Consultando un qualsiasi dizionario dei Sinonimi e Contrari – ad esempio quello della Treccani, disponibile online – si ha la conferma che entrambi i termini “sembrano” tra loro equivalenti:

complicato agg. [part. pass. di complicare]. – 1. [che non è semplice] ≈ e ↔ [→ COMPLESSO¹]. 2. [di persona, che si esprime in modo poco chiaro e, anche, dello stesso modo di esprimersi] ≈ confuso, involuto, oscuro. ↔ chiaro, piano, semplice.

complesso¹ /kom’plɛs:o/ agg. [dal lat. complexus, part. pass. di complecti “stringere, comprendere, abbracciare”]. – [di cosa non semplice, dai molteplici risvolti] ≈ complicato, difficile, ingarbugliato, intricato, tortuoso. ↑ astruso. ↔ accessibile, agevole, elementare, facile, piano, semplice.

Tuttavia – facendo un’indagine approfondita – si scopre che i termini “complicato” e “complesso” non sono così sinonimi: sebbene in entrambi il punto comune è la “non semplicità” di una situazione o di un contesto, nel “complicato” alla base vi è la “poca chiarezza” e la “confusione”; mentre la “complessità” è data da un gran numero di elementi interconnessi tra loro, di cui non è possibile prevedere certamente l’esito. Questo ultimo aspetto è definito maggiormente in campo matematico e fisico, quando si parla di “sistema complesso”:

sistema complesso in termini generali, insieme di elementi variabili e fortemente interconnessi anche nella loro evoluzione temporale, sicché la conoscenza singola d’ognuno di essi non è sufficiente a stabilire l’evoluzione complessiva del sistema. […] un sistema complesso ha alcune caratteristiche di fondo: è composto da un numero notevole di sottosistemi interagenti; presenta caratteristiche emergenti, cioè comportamenti ordinati derivanti dalle interazioni fra i sottosistemi quando i sottosistemi stessi o le loro connessioni superano un certo numero; è altamente strutturato; presenta meccanismi di retroazione (per cui una risposta in uscita diventa anche uno stimolo in entrata); è caratterizzato da una dinamica non lineare e sensibile alle condizioni iniziali ( caos). Un sistema complesso è quindi caratterizzato da un gran numero di variabili e i comportamenti osservabili dipendono in larga misura dal modo in cui i sottosistemi si organizzano e interagiscono tra loro. […]

Chiarito ciò, torniamo all’articolo della Tana del Goblin, riguardo la definizione di “complicato/complesso” nei giochi da tavolo: in sintesi, l’autore sostiene che…

  • Un gioco è complicato quanto più le regole sono quantitativamente tante e qualitativamente corredate di eccezioni. Una volta capite e imparate tutte le variabili, un gioco (che sia solo) complicato non è difficile da padroneggiare. In un gioco complicato la risoluzione di un problema porta a dei risultati immediati, certi e prevedibili.
  • Un gioco è complesso quanto più le ripercussioni delle proprie azioni sono difficili da padroneggiare. Anche una volta capite e imparate tutte le variabili, un gioco complesso rimane comunque difficile da padroneggiare. In un gioco complesso la risoluzione di un problema porta ad altri problemi.

Vorrei analizzare con voi queste definizioni, mettendole a confronto con il significato di questi termini negli altri campi di utilizzo.

Come accennato prima, si definisce “complicato” ciò che è “poco chiaro” e “confuso”: se cercassimo questa ultima parola in un vocabolario (anche in questo caso sul sito della Treccani), troveremmo che…

confuo agg. [part. pass. di confondere, dal lat. confusus, part. pass. di confundĕre]. – 1. Messo alla rinfusa, mescolato tra altri o tra altre cose: un mucchio cdi oggetti di ogni speciesperava di passare inosservatoc. com’era in mezzo alla folla.

Tale situazione si crea quando si affronta la prima partita ad un determinato titolo: partendo da una situazione in cui si è “all’oscuro di tutto”, il fruitore è costretto ad apprendere il regolamento tramite la lettura o l’ascolto (da chi già conosce il gioco) di singole regole. Tuttavia, man mano che aumenta il numero delle singole regole da imparare, diminuisce la possibilità di comprendere il gioco immediatamente: da ciò ne consegue che il giocatore dovrà impiegare più tempo e più impegno sul regolamento, finchè non lo acquisisce nella sua totalità. In questo lasso di tempo – in cui si passa da uno stato di ignoranza ad uno di conoscenza – chiunque apprenda deve vivere uno stato intermedio di “confusione”, poichè il giocatore avrà nella sua testa – almeno all’inizio – un’insieme di nozioni/regole apparentemente alla rinfusa, alcune immediate da capire, altre meno, in quanto:

  1. alcune regole acquistano maggior senso quando si ha una visione generale – anche se non definita – del gioco (ad esempio, l’utilizzo di una risorsa intermedia);
  2. alcune regole dispongono di sottoregole, che rende l’apprendimento di tale regola ancora più contorto (ad esempio, il mutamento di un’azione, se viene scelta da più giocatori);
  3. alcune regole dispongono di eccezioni, che si attivano in casi particolari e che non potranno essere compresi finchè non li si incontra durante la partita.

Fortunatamente, via via che impara prima le regole basilari e successivamente quelle più complesse, il giocatore esce dallo status “confusionario” ed entra in uno completamente “ordinato” e ben “chiaro”: il gioco è appreso e pronto per essere provato.

Pertanto – se si vuole essere pignoli – non è il gioco ad essere di per se “complicato” (perchè altrimenti il giocatore dovrebbe essere sempre “confuso”, anche durante la partita), quando il suo regolamento ed il conseguente apprendimento e ciò dipende non solo dal numero e dalla natura delle regole presenti, ma anche da altri fattori (come le capacità mnemoniche di chi studia il gioco). Ma visto che il gioco è “un’attività libera […] dotata di regole” e che non può esistere l’uno senza l’altro, allora possiamo anche accettare il termine “gioco complicato”.

Vorrei portarvi come esempio un gioco, ovvero “La Casa dei Sogni” di Klemens Kalicki (titolo per 2-4 giocatori, edito in Italia dall’Asterion/Asmodèe) che – stranamente – ho trovato abbastanza “complicato”: nonostante sia un gioco semplice e con non troppe regole, esso è ricco di sottoregole ed eccezioni che costringono i giocatori a tenere vicino il regolamento, perchè durante le prime partite si creano spesso dei dubbi sull’utilizzo di alcune carte o sul posizionamento corretto delle stanze; e ciò l’ho appurato sia direttamente, sia quando ho proposto il titolo ad altri giocatori. Quindi azzardo a definire che – secondo la mia esperienza – la Casa dei Sogni come “gioco complicato”, anche se ammetto che esistono titoli di gran lunga più complicati di questo.

La Casa dei Sogni, un titolo (per alcuni) complicato…

Il termine “complesso” utilizzato in  ambito ludico, invece, è più affine al “sistema complesso” in Matematica: partendo dal presupposto che qualsiasi gioco possa essere considerato un “sistema” – inteso come “insieme di elementi coordinati tra loro in un’unità funzionale” – in un “gioco complesso” sono presenti molti elementi variabili nelle meccaniche, come il lancio del dado o le carte coperte in mano ad un avversario. Inoltre, in un “gioco complesso” ogni regola è sia “legata” strettamente alle altre (o solo alcune), sia “legata” al turno attuale della partita; tali connessioni ed i relativi effetti possono generare via via situazioni sempre più diverse. Ad ogni situazione presentata – infine – vengono compiute determinate scelte/mosse/azioni da parte dei giocatori che, a loro volta, mutano la situazione di partenza in una nuova, di fatto “evolvendo” il corso della partita.

Perciò, compiere una sola azione – o comunque un certo numero di azioni – non è altro che “tenere in considerazione” una parte di quel sistema, impedendo così la completa comprensione del sistema stesso. Prendiamo in esame Puerto Rico, il celeberrimo titolo di Andreas Seyfarth: il punto cardine del gioco è senza dubbio la scelta del personaggio da utilizzare nel proprio turno; poichè non solo permette al giocatore di guadagnare una determinata risorsa (che sia mais o denaro, vendendo le merci), ma gli permette di aggiundicarsi  un determinato vantaggio escludendolo agli altri giocatori, che saranno costretti a loro volta a compiere azioni di ripiego, oppure ad aspettare i turni successivi. Solo per questi aspetti, Puerto Rico può rientrare comodamente nei “giochi complessi”.

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Puerto Rico, un gioco decisamente “complesso”

Finora ho accennato solo a due titoli che rientrano ciascuno in una delle due categorie, ma appena scalfisco la superficie, ecco che altre domande si affollano nella mia mente: in quali modi i giochi possono essere “complicati” e “complessi”? Esistono titoli che presentano entrambe le caratteristiche o addirittura titoli completamente ignari da questi aspetti? Insomma, come si fa a definire il “complesso” e il “complicato”, nel mondo dei giochi da tavolo?

Vorrei provare a rispondere a tutte queste domande, portandovi come esempio qualche titolo della mia libreria personale…

Gioco non complicato, nè complesso: Sushi Dice

Il primo titolo di cui vi voglio parlare è già apparso su “Giochetti e Sfizietti”, in uno dei primi articoli della rubrica “Semper Filleris”, ormai più di un anno fa. Si tratta di un filler semplice e divertente, ambientato in un ristorante giapponese: sto parlando di “Sushi Dice”, il gioco di Henri Kermarecc, per 2-6 giocatori e pubblicato dalla Sit Down! (edito in Italia dalla Ghenos Games) nel 2014. In breve, lo scopo del gioco è riuscire a conquistare un certo numero di carte Piatto prima degli altri giocatori, attraverso una serie di sfide uno contro uno in cui – lanciando dei dadi speciali – si dovranno riprodurre i simboli riportati sulle carte Piatto disponibili: il primo che ci riuscirà potrà suonare il campanello e guadagnare la carta Piatto che ha riprodotto con i propri dadi.

Sushi Dice, nè complicato, nè complesso…

Vi ho appena riassunto – in pochissime righe – la maggiorparte delle regole di questo gioco: dovrei solo accennarvi il simbolo Stella ed il simbolo Teschio e sareste pronti per iniziare una partita; dato che è sprovvisto anche di sottoregole ed eccezioni. A dimostrazione di ciò, il regolamento di Sushi Dice è contenuto in un piccolo foglio (16×11,5): solo questo basta per definire Sushi Dice come un “gioco non complicato”.

Inoltre, Sushi Dice non è neanche complesso: l’unico elemento variabile è il risultato dei dadi ad ogni lancio ma – essendo un gioco basato sulla velocità – basterà rilanciare nuovamente i dadi e sperare ancora nella dea bendata. Inoltre, ogni partita a Sushi Dice inizia e si conclude allo stesso modo, senza che si evolva la situazione (se non per le carte Piatto che vengono via via conquistate). Sushi Dice è un titolo tutt’altro che “complesso”: è un gioco poco profondo, che non richiede l’utilizzo di strategie ne tattiche, ma solo di una buona destrezza e di un pizzico di fortuna; perfetto per iniziare una serata di giochi più corposi.

Non serve una mente “geniale” per dire che basta rilanciare il dado con il pesciolino arancione…

Insieme a Sushi Dice, molti filler fanno parte di questa categoria – cito ad esempio Fantascatti e 6Nimmit!) – perchè devono essere titoli contenuti, sia nella durata che nel livello di difficoltà (ma non per questo meno godibili). Accanto a loro, voglio includere anche diversi party games – come Lupus in Tabula e Nome in Codice – perchè sono titoli non basati solamente sulle regole, ma che tengono conto anche di altri aspetti esterni, come il gruppo di giocatori (in Lupus in Tabula)  o il grado di affinità tra i giocatori (in Nome in Codice).

Gioco complicato, ma non complesso: Case della Follia (seconda edizione)

Affrontiamo il primo termine con un titolo decisamente imponente, che ha saputo rivoluzionarsi utilizzando le nuove tecnologie, venendo incontro ai giocatori sotto diversi punti di vista: ovviamente si tratta della seconda edizione de”Le Case della Follia”, un collaborativo a tema lovecraftiano per 1-5 giocatori, edito in Italia dalla Asterion.Nel corso di una singola avventura, i giocatori vestiranno i panni di investigatori e dovranno risolvere il mistero proposto, esplorando i luoghi, risolvendo i vari rompicapi e sconfiggendo eventuali cultisti e temibili creature che li ostacoleranno. Il turno si divide in una fase degli investigatori, dove potranno compiere due azioni a testa (tra una serie di azioni, come muoversi, esplorare, attaccare, etc…) ed una fase dei Miti, in cui l’app – la novità di questa seconda edizione – deciderà che cosa accadrà, dal proseguo della storia ad eventi “casuali”, nonchè l’eventuale comparsa dei mostri e le relative azioni.

Le Case della Follia, “complicato” al punto giusto…

Rispetto al caso precedente, in Le Case della Follia uno degli scogli da superare è proprio il Regolamento: il “Manuale di Gioco” andrebbe imparato a memoria ma le regole contenute sono davvero davvero tante; bisogna anche apprendere il funzionamento delll’App, dato che essa sostituisce il “Custode” e quindi deve essere “infallibile” (si può addirittura penalizzare un’avventura per un banale errore); ed una buona conoscenza del “Compendio delle Regole” – che contiene in realtà il regolamento “completo” del gioco – è sempre gradita. Con tutto questo materiale, Le Case della Follia è anche difficile da spiegare a nuovi giocatori: saranno costretti ad ascoltare tutte le regole e potrebbero spazientirsi e non farvi terminare la spiegazione (mi è successo davvero, la prima volta che l’ho spiegato ad un gruppo). Fortunatamente – grazie all’App e alla struttura del Regolamento – Le Case della Follia può essere giocato anche se si ha studiato solo le prime dieci pagine del Manuale di Gioco e le istruzioni dell’App; consultando il Compendio in caso di dubbi o di elementi nuovi in partita, rendendo il gioco meno “complicato”.

Nonostante ciò, non credo che “Le Case della Follia” sia un titolo “complesso”, per una serie di ragioni:

  1. ci troviamo di fronte ad un cooperativo, un gioco in cui tutti devono raggiungere lo stesso scopo (ovvero risolvere il caso)
  2. ogni avventura in “Le Case della Follia” è impostata seguendo una sorta di “copione”: quindi ogni avventura è quasi priva di variabili; questo è il motivo per cui rigiocare alla stessa avventura – anche se l’App varia alcuni elementi, come l’ordine delle stanze o la posizione dei personaggi – non è così entusiasmante, perchè si è a conoscenza di ciò che accadrà (salvo prendere decisioni diverse dalla partita precedente).
  3. infine, Le Case della Follia ha il pregio che durante l’avventura vengano introdotti piano piano sempre più elementi, che “rispondono” ad alcune regole del gioco (ad esempio i segnalini Incendio): questi elementi però sono  uniti tra loro solo dal contesto dell’avventura e molto spesso non si influenzano tra loro. Pertanto, la partita si evolve non tanto per le ripercussioni delle azioni compiute, ma grazie all’avventura stessa ed ai nuovi contenuti che ad ogni turno offre.

Il materiale di “studio” per imparare il gioco…

Alcuni cooperativi possono essere “complicati” e non “complessi”, anche se per ragioni diverse da quelle del caso preso in esame: ad esempio, Zombicide e Eldritch Horror lo sono perchè hanno un corposo regolamento e non ci sono aiuti esterni (difatti, sono più “complicati” rispetto a Le Case della Follia”). Ma a volte, anche un regolamento scritto male può rendere un gioco estermamente semplice in “complicatissimo”: ad esempio, il regolamento di Skip-Bo (il gioco di carte della Mattel) è così indecifrabile che – alla lettura – “sembra” un altro gioco (se lo volete imparare, vi consiglio di cercare le regole su Internet).

Gioco complesso ma non complicato: Hive

Il secondo termine – invece – lo affrontiamo con un titolo abbastanza “minuto” nella scatola, ma “corposo” nella sostanza: sto parlando di “Hive”, il gioco di John Yianni per due giocatori, uscito nel 2001 ed edito in Italia dalla Uplay. In Hive, ogni giocatore possiede un esercito di insetti, con cui dovrà accerchiare l’apre Regina avversaria e conquistare così il dominio dell’alveare. Ad ogni turno, il giocatore può aggiungere uno dei propri pezzi sul tavolo (facendolo combaciare con gli altri suoi pezzi posizionati) oppure si può muovere uno dei propri insetti, rispettando la sua modalità di movimento (ad esempio la Formica può andare dove vuole, mentre lo Scarabeo si muove di uno spazio, ma può salire sugli altri pezzi).

Il piccolo – ma profondo – Hive

Il regolamento di Hive non è “complicato” e si riassume in poche pagine: principalmente bisogna imparare come si piazzano e come si muovono i vari pezzi ed alcune regole limitanti, come quella di non separare mai l’Alveare (cioè l’unità di tutti i pezzi in gioco). Diversi giocatori (solitamente gli amanti degli scacchi) possono rimanere un po’ spiazzati dall’assenza di una scacchiera – anche se in realtà esiste, ma “invisibile” e apparentemente “infinita”- ma una volta accettata non si incontrano ulteriori problemi.

I problemi nascono durante la partita, in genere con le prime esperienze: questa eccessiva libertà – data dalla mancanza della scacchiera e dei pezzi iniziali – lascia spiazzati  i novizi che tendono a piazzare pezzi a caso, creando delle combinazioni che gli si ritorceranno contro in un momento successivo. Ora non vi sto ad elencare errori fatti e visti durante le partite (come incastrare i propri pezzi oppure  accerchiare l’Ape Regina solo da un lato, permettendole di scappare dall’altro), ma spesso alla base dell’errore vi è la mancata comprensione del potenziale di un pezzo, di quando “dovrebbe” essere giocato e perchè. Inoltre, ogni mossa di un giocatore “modifica” il piano di gioco, permettendo o impedendo al giocatore successivo di fare certe mosse, che a loro volta modificheranno il piano di gioco, e via dicendo… Un gioco in cui ogni pezzo è importante e con una scacchiera “variabile” non può non essere “complesso”…

Un classico errore: lo Scarabeo Nero – che voleva bloccare l’Ape Regina Bianca – alla fine è rimasto incastrato…

I giochi astratti sono i padroni di questa categoria: sono giochi con pochissime regole e privi di qualsiasi ambientazione – dagli storici Scacchi, fino ai titoli del Progetto GIPF, come Yinsh e Tzaar-  in cui il giocatore viene lasciato libero a compiere le proprie scelte, magari supportate da una strategia di fondo. Altri titoli “non astratti” ma comunque solo “complessi” sono Carcassonne (in cui anche piazzare una tessera “inutile” può essere utile, se ostacola gli avversari) ed in parte Istanbul dato che – ad ogni partita – la plancia di gioco cambia.

Gioco complesso e complicato: Tales of Arabian Nights

Tenetevi forte, perchè sicuramente un gioco “complicato” e “complesso” deve essere difficile e cervellotico, che deve essere provato più e più volte per “domarlo” e per comprenderlo nella sua interezza. Di certo, sarebbe stato più semplice portare come esempio uno dei tanti german in commercio, ma preferisco portarvi un titolo di tutt’altro genere: vi voglio stupire con “Tales of Arabian Nights”, il gioco di Eric Goldberg per 1-6 giocatori, edito in Italia dalla Giochix l’anno scorso. Avevo già parlato di questo titolo nella rubrica “Aggiungi un componente al tavolo“, ma vi rinfresco un po’ la memoria: lo scopo del gioco è quello di soddisfare l’obiettivo personale, stabilendo un certo numero di Punti Storia e Destino da guadagnare; per farlo il giocatore potrà esplorare gli stessi luoghi tratti dalla raccolta “Le Mille e una notte”, incontrare creature magiche e vivendo esperienze più strabilianti, “scrivendo” così una magnifica storia…

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Come fa Tales of Arabian Nights ad essere “complicato” e “complesso”?

Perchè Tales è un gioco “complicato”? Nonostante Tales sia estremamente semplice – alla fine si tratta di muoversi sul tabellone e di subire la carta Incontro – le regole del gioco sono sufficientemente corpose: quindici pagine che vanno imparate punto per punto, dal movimento fino al procedimento per individuare il paragrafo da leggere, da come si usano le Abilità a come si perdono; e questi sono solo alcuni degli aspetti più importanti. Oltre ciò, il giocatore può ricevere -durante la partita – le carte Status, che possono essere considerate come “regole aggiuntive personali”, perchè possono modificare le regole iniziali: anche queste vanno chiarite il prima possibile. Infine, alcune regole e alcune carte Status vanno in conflitto e generano dei casi particolari, che si risolvono solo consultando le FAQ, disponibili su Internet (anche sulla Tana dei Goblin).

Parlando invece dell’aspetto “complesso”, vorrei porre una domanda a chi ha già provato  più volte il titolo: quante volte vi è capitato di non raggiungere – neanche lontanamente – l’obiettivo personale, perchè guadagnavate maggiormente solo una tipologia di Punti? A me è capitato spesso di impostare l’obiettivo con più punti Storia anzichè punti Destino e ritrovarmi – a fine partita – con un eccesso di punti Destino e pochissimi punti Storia, a pochi passi dalla vittoria? Certo, ragionando in modo strategico, sarebbe meglio scegliere una via di mezzo (10 Storia e 10 Destino), ma non sempre è la scelta giusta…

Questo ci porta al punto focale: Tales è un gioco in cui “tutto è possibile” e “nulla si può prevedere”: ad ogni turno, il giocatore ha a che fare con così tante variabili (la carta Incontro, il risultato dei dadi, eventuali carte Status in possesso) che non può sapere cosa gli accadrà e quali vantaggi riceverà da tale incontro. Il giocatore può “scegliere” solo alcuni aspetti per definire l’incontro, come la casella luogo o la Reazione; ma il più delle volte anche la Reazione che porterebbe più vantaggi (come “Aiutare” uno “Schiavo”) si rivela dannosa, mentre la Reazione più improbabile (come “Bere” un “Vortice”) si dimostra la scelta più azzeccata: non c’è ragione alcuna, si tratta di puro e semplice “Destino”. Senza contare inoltre che alcune carte Status impediscono al giocatore a fare determinate scelte, lasciandolo più in balia degli eventi che della propria abilità. Questo è l’elemento “complesso” di questo esempio; ma sarei un folle se negassi l’esistenza di titoli di gran lunga più “complessi” di questo.

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Tante regole, tante eccezioni e tante variabili… questa è la risposta!

Eccezione fatta per Tales of Arabian Nights, spesso i german sono “complicati” e “complessi” allo stesso tempo, a diversi gradi d’intensità: ad esempio Trajan (di Feld) è un gioco molto “complicato” (anche se privo di regole/eccezioni) ma meno “complesso” (perchè le sei aree-azioni sono slegate tra loro); mentre “The Gallerist” (di Lacerda) è un caso di altissima “complicatezza” (anche le icone di certo non aiutano) e di “complessità” (si deve trovare un equilibrio tra l’aspetto degli artisti, quello delle opere d’arte e quello del mercato internazionale).

Avviandoci alla conclusione – prima di salutarci e darci appuntamento alla prossima settimana – vorrei tirare un po’ le somme dei miei ragionamenti:

  • un gioco è “complicato” quando il suo regolamento appare “confuso” e difficile da imparare e ciò può dipendere dal numero delle regole, da eventuali eccezioni, etc…;
  • un gioco è “complesso” quando si mostra come una struttura in cui gli elementi sono così variabili e i ricchi di interconnessioni tra loro, che il giocatore con le sue azioni “limitate” non può esercitare il pieno controllo;
  • ogni gioco può essere “complicato” e/o “complesso” per diverse ragioni, a diversi gradi d’intensità differenti.

 

 

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